GIUSEPPE LA SPINA
Giuseppe La Spina intervistato per Influencers Kings

Ho incontrato su whatsapp Giuseppe La Spina, mio conterraneo e coetaneo divenuto influencer QUASI per caso. I messaggi vocali di Giuseppe mi hanno colpita molto in quanto pregni di contenuti molto critici e di consapevolezza a 360°. La sua storia è la storia di una persona molto razionale, cauta e semplice. Qualità che in un primo momento potrebbero stridere con l’idea del ruolo e dell’essenza dell’influencer tipo.

Ciao Giuseppe, tu sei un influencer molto famoso e già avviato in questo settore. Te l’avranno già chiesto in tanti, ma non sarò certo l’ultima a farlo. Come sei diventato un influencer?

Non pensavo di diventare influencer, non avevo questo obiettivo. Tre anni fa non c’era la concorrenza che c’è oggi e che per molti versi è sleale. Inserivo le prime foto come modello perché per arrotondare facevo sfilate specialmente per costumi da bagno. Quando mi iscrissi su Instagram cominciai a postare gli scatti delle sfilate e delle pose e, indirettamente posizionai già allora il mio profilo.

Poco dopo, tramite gli studi in economia fatti all’università, cominciai a impostare il profilo basandomi su criteri economici. Osservavo il mercato, i miei potenziali competitors, il posizionamento del mio profilo rispetto ai miei interessi, i loro followers e cominciai a lasciare commenti in giro e ad avere un feedback. Immediatamente dopo mandai le prime email alle agenzie e ai brand, specialmente quelli più piccoli, e da lì ottenni i primi risultati. Da quel momento è stato un susseguirsi di collaborazioni fino ad oggi. Adesso sono seguito da un’agenzia perché svolgo anche un altro tipo di lavoro (il mio primo lavoro, quello che coincide con il mio percorso di studi) che prende molto del mio tempo. Non posso rispondere alle email e spesso purtroppo devo rifiutare anche molte proposte di viaggio. Diventare un influencer è stato quindi un caso non voluto e non cercato in principio. Io appartengo alla corrente “fortunata” di tre, quattro anni fa, al boom iniziale di questo settore.

Credo nella legge di Darwin, vince il più forte. Presto non ci sarà più posto per i piccoli influencer.

Come funziona questo lavoro improntato sulla figura dell’Io come pura immagine estetica funzionale al profitto?

Non tutti pongono l’ immagine del profilo su se stessi. Per esempio i travel blogger puntano più sul contesto e danno più importanza all’oggetto o alla location. Io metto la mia figura come immagine, una sorta di manichino, o meglio, un ambassador, una persona che è in grado di influenzare le scelte degli altri infondendo un senso di fiducia al follower o consumatore (se vogliamo utilizzare un termine meramente economico). Se non dai la necessaria immagine di fiducia sul prodotto che stai sponsorizzando chiaramente si creano delle divergenze tra te, il follower e il prodotto che stai sponsorizzando. In realtà non è che ci sia una funzione, si tratta di sponsorizzare il prodotto nel miglior modo possibile utilizzando sia la propria immagine (fondamentale), che la location dove si trova inserita, per dare un contesto al prodotto e far si che non sia fine a se stesso.

 

Quanti spunti prendi dal tuo vero “io”, dalle tue personali risorse e quanto da condizionamenti esterni o artifici necessari a caratterizzare uno stile o più semplicemente un singolo post?

La maggior parte dei post che inserisco nel mio profilo sono condizionati soprattutto dai miei spunti personali. Molte volte i post che condivido includono la mia terra (la Sicilia) e i suoi colori, puoi facilmente vedere nel mio profilo a cosa faccio riferimento. Molte foto rispecchiano molto il mood della Sicilia e del Sud Italia, o quanto meno uno specifico immaginario che ruota intorno alla parte meridionale del Paese. È chiaro che viaggiando mi sono adattato ad altri luoghi e alle atmosfere che suscitano, ma la maggior parte dei post e delle foto sono caratterizzati da uno stile molto personale. Questo è possibile anche grazie alla massima libertà che i brand ti lasciano. Quando avvio delle collaborazioni, oltre a delle piccole linee guida, lasciano molto spazio alla mia fantasia e alla mia ispirazione di conseguenza il più delle volte prendo spunto da me stesso e da quello che sento. Capita a volte che osservando altre foto, vedo delle luci o delle prospettive interessanti e cerco di replicarle perché mi aggradano, ma è molto raro che io prenda spunto da condizionamenti esterni.

Che rapporto hai con i brand? Decidi cosa promuovere effettuando una selezione oppure prendi tutte le proposte di lavoro che ricevi?

Sia tramite agenzia sia tramite mio contatto personale, la maggior parte dei brand che mi contattano è in linea con il mio profilo. Oggi i brand sanno sempre di più cosa vogliono colpire, una volta erano inesperti, ma adesso hanno del personale specializzato che si occupa di monitorare i profili. Innanzi tutto vogliono tutti i dati insight che riguardano la tipologia dei tuoi follower: quanti uomini, quante donne, che età, quale paese di provenienza, ecc. In base a questi dati, fanno la loro scelta. La maggior parte dei brand che mi contattano sono tutti in linea con il mio profilo e mi chiedono di promuovere per lo più vestiti, auto, profumi e viaggi. Se arrivano proposte troppo diverse dalla solita linea profilo, bisogna capire che tipo di brand è e che tipo di prodotto si andrà a sponsorizzare. Ma mi capita raramente.

Una singola persona come può gestire questa pressione, in fondo, aziendale? Nonostante il tuo sia un lavoro invidiato da moltissimi giovani, è chiaro che sia comunque un cammino in salita con alti e bassi e pressioni diverse da affrontare (vita privata, invidie, impegni, gestione della propria immagine eccetera).

Questa è una domanda complessa, ma soprattutto vera nel senso che la sento molto vicina a quello che ho vissuto. Quando iniziai questo lavoro, mi buttai a capofitto in questo nuovo mondo, trascurando molte cose tra cui le persone che mi stavano vicino e gli amici. Non è stato facile. Faccio riferimento a una crescita reale, non ai metodi odierni (acquisto di follower). Quello che voglio dire è che mettevo like costantemente, guardavo continuamente lo smartphone, commentavo con frequenza, stavo sempre sul pezzo, pubblicavo ogni tot. In questo modo andava via molto tempo ed è chiaro che nella vita privata si sentiva la mia assenza, anche perché non è accettato da tutti pubblicare ogni istante della tua vita, soprattutto momenti intimi come una cena o come una domenica al mare. Invidie, si certo, molte. Gli impegni tanti, anche perché io svolgo un lavoro di responsabilità all’interno di una catena alberghiera, mi occupo di contabilità e si tratta di un lavoro delicato specialmente in alcuni periodi dell’anno. Da qualche mese a questa parte ho iniziato a dedicare al mio profilo meno tempo grazie alla presenza di un’agenzia di Milano che cura i contatti, risponde alle mail, fa i prezzi e svolge tutto il lavoro che io non posso più fare da solo.

Qual è l’aspetto più gradevole del tuo lavoro e quale il più detestabile?

Quello più gradevole è l’essere riconosciuto da parte dei brand, dei follower e di essere un vero influencer. Mi piace ricevere messaggi dai follower che ti chiedono consigli e sono contenti quando rispondi. Molto gradevole è anche la partecipazione ad eventi come la Fashion Week, eventi esclusivi, sfilate di moda, aperitivi. In questo modo mi è capitato e mi capita di conoscere tantissima gente del mondo della moda, specialmente a Milano. L’aspetto più detestabile è il fatto che la professione di influencer non viene catalogata e identificata bene. Per questo, molti brand quando chiedo un compenso più o meno alto o più o meno basso, dipende dai punti di vista, si tirano indietro non capendo che qualsiasi costo possa chiedere un influencer sarà sempre inferiore ai costi che può richiedere una radio o una televisione, mezzi meno capillari del social che trasmette pubblicità in modo immediato per una fetta di persone molto ampia.

Ti è mai capitato di dover creare un post per lavoro e non averne voglia per motivi personali o familiari che appartengono alla tua sfera privata?

Una volta sola. Dovevo pubblicizzare un’app di incontri, avevo la fidanzata in quel periodo. L’app, di cui non ricordo il nome, era una delle solite con gps, che ti permette in base ai km di distanza di trovare persone affini. Io dovevo postare una foto con un post in cui dicevo che tramite questa app incontravo persone, affermando che fosse un buon metodo per fare “amicizie” nuove. Ricordo che la mia fidanzata, lì per lì, non approvava.

Il tuo lavoro è stimolante, lo cambieresti per farne un altro?

Come ti dicevo questo non è il mio primo lavoro bensì un secondo. Ho studiato economia e gestione delle imprese turistiche, lavoro presso una catena alberghiera come responsabile per la contabilità per cinque alberghi. Le mie conoscenze economiche e di marketing mi hanno portato ad arrotondare una situazione che avrebbe potuto limitarsi ad essere un semplice hobby. Adesso è un lavoro però non credo che vorrei fosse il mio primo lavoro. Dovrei raggiungere alti livelli come Chiara Ferragni e altri, che sono diventati imprenditori. Mi dovrei trasferire a Milano per concentrarmi solo sul lavoro di influencer. Io comunque sono una persona molto lungimirante e non vedo un futuro che mi possa portare a cambiare la mia attuale condizione. Al momento lo tengo come secondo lavoro.

Hai dei progetti a cui pensi e che vorresti realizzare?

Progetti? Si, vorrei sfruttare ancor di più questo canale per viaggiare. Molte volte per il mio lavoro principale mi trovo costretto a rifiutare settimane in posti veramente molto belli. Voglio approfittare maggiormente del lavoro di influencer per viaggiare ancora di più. Lo faccio già, ma non quanto vorrei. Mi piacerebbe anche avviare collaborazioni un po’ più lunghe, fare dei contratti con dei brand di circa un anno, che mi permettano di essere più stabile con un introito fisso.

Che consigli daresti ai ragazzi che desiderano fare il lavoro d’influencer?

Beh, consiglio innanzitutto di studiare a prescindere, nella vita. Laurearsi è fondamentale per aprire la mente. Io non avrei mai iniziato a fare quello che faccio se non avessi fatto degli studi in economia, in markenting e in contesti che mi hanno permesso di studiare il social dal punto di vista economico e analitico. Non sarei mai cresciuto senza lo studio. Consiglio base, quindi, è studiare e fare qualcosa che piace davvero. Il lavoro d’influencer, se c’è la passione e la capacità, si può affiancare a qualsiasi altra cosa. Da lì sarà poi il tempo a chiarire se ci saranno sviluppi interessanti. Però, sai adesso siamo in tanti, il mercato inizia ad essere saturo. O nascerà qualche piattaforma o francamente non so se ci sarà spazio per tutti. Io penso che anche questo settore si basi sulla legge di Darwin: sopravviverà il più forte e i più piccoli non saranno presi in considerazione né dai brand né dalle agenzie che fanno da intermediari.

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